Maurizio Spezzano

Dalla parte del torto in mancanza di un altro posto in cui mettersi

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SALDI DI FINE STAGIONE A COPENAGHEN

Sono partiti i saldi di fine stagione a Copenaghen. L’annata 2012/2016 non è stata delle più felici per il sindaco Jacob Andersen, per cui dà fondo alle giacenze di magazzino conservate per le grandi occasioni. Resta questo scorcio di 2017 per cercare di rimpinguare le casse consensuali, e per raggiungere l’obiettivo della rielezione è disposto a fare ogni cosa, a offrire ogni cosa, a dire sempre sì e ad accontentare tutti, ma proprio tutti, addirittura è disposto ad andare casa per casa a fare le pulizie. Diciamo, non a tutti, quelli cattivi cattivi no, per loro scapaccioni sulla testa dura e niente pacche sulle spalle. Neanche pulizie! Niente sorrisi e niente saluti. Molti pezzi in saldo sono oramai fuori moda, mercanzia egregia per gli ingenui, lucente di fuori ma arrugginita dentro, ottima per coloro che spinti dalla disperazione sono disposti a farsi raggirare in ogni modo. Insomma, roba di facciata che serve al sindaco Andersen per ipnotizzare l’opinione pubblica (anche nei sogni c’è l’opinione pubblica e anche nei sogni si fa ipnotizzare!!!). Il problema non è del sindaco di Copenaghen – lui è sempre stato uomo scaltro, ha sempre mercanteggiato, ha rifilato bidoni a tutti, anche ai migliori amici – semmai, il problema è di chi, spinto dalla disperazione e dai magri introiti, è costretto ad accettare qualsiasi “abito”.

Inizia con questa introduzione l’ennesimo sogno danese, l’incubo di Copenaghen. Un sogno nel sogno. Ho sognato che stavo scrivendo il sogno e prima di finirlo mi sono addormentato. E’ il sogno di queste sere di rigide temperature, provenienti dai venti del Mar Baltico. Mentre scrivevo il sogno mi sono addormentato davanti al tepore del camino acceso, sognando. Ho sognato che stavo scrivendo che ero in città, raccontando di una passeggiata per le vie del centro – Copenaghen è veramente incantevole nelle serate invernali – quando la mia attenzione è stata attratta dalle vetrine degli amici del sindaco Andersen: avevano esposto cartelli che pubblicizzavano precarissimi posti di lavoro. Promettevano di dare fondo a tutti gli articoli di magazzino (tra le rimanenze abbondavano i voucher, una moneta moderna che schiavizza il lavoratore!). Alcuni di questi “clienti” si erano fatti  illudere e una volta dentro avevano accettato la mercanzia, convinti di poter risolvere per sempre i loro problemi (come dire, sono scalzo e mi faccio rifilare un paio di scarpe composte da due sole destre di colori differenti e di taglia differente). Alcuni accortisi della fregatura avevano cominciato a lamentarsi, ma gli sgherri di Jacob Andersen li minacciavano con bollette e accertamenti fiscali.

Mentre sognavo, tra me pensavo: “Questa città vive veramente in un mondo capovolto! E’ strana. Alcuni passaggi non mi sono chiari. I cittadini per quattro anni hanno trovato i ‘negozi’ chiusi con la scusa che le scorte erano finite ed ora, in questo finale di stagione, ecco i saldi e i negozi pieni. Il sindaco Jacob Andersen ha pianto miseria per tutto il tempo, quasi dalla rabbia non rideva più. Pochissime pacche sulle spalle, solo agli amici più fidati, che andavano in giro a ripetere che non era vero che c’era miseria, anzi, si stava meglio quando si stava peggio. Andersen che diceva a tutti di non sapere nulla, non sapeva neppure che le cose andavano male. E’ stato tanto maltrattato che quando passava per la piazza con il suo elicottero la gente quasi gli inveiva contro. Eppure eccolo lì, nuovamente sorridente e soddisfatto”.

Io pensavo e sognavo questo. E intanto camminavo per le vie di Copenaghen. A un tratto un ragazzo mi viene incontro e mi dà un volantino: “Grande svendita. Ultimi sei mesi di sconti. I magazzini del sindaco Jacob Andersen sono lieti di invitare tutta la cittadinanza alla giornata del lavoro precario. Voucher e cotillon ai partecipanti. Non perdete questa grande occasione. Partecipate alla ruota della fortuna, si vincono posti simil sicuri. Svendita totale per rinnovo locali. Ultimissime possibilità”. C’era la firma di Jacob Andersen in bella mostra, una sua vecchia foto di quando aveva trent’anni, con i capelli intonsi e il sorriso sornione.

Pensieroso com’ero, ho imboccato una strada – si sa come sono i sogni, pensi una cosa e poi ne fai un’altra – percorsa velocemente da un gruppo di persone, in realtà erano poche. C’era una forza strana che mi spingeva in quella direzione. Mi sono incamminato a passo veloce. Sentivo urla e una ruota che girava. Avete presente quelle ruote che servono per vincere i prosciutti? In fondo alla strada si apriva uno slargo, mi sembrava quello del comune di Copenaghen, ma non sono sicuro, i sogni già sono strani, ma il sogno nel sogno è strano il doppio!. In alto, su un palchetto, c’era il sindaco Jacob Andersen e la sua bella corte. Vicino a lui un altro signore, che a vederlo sembrava un giudice. Ho pensato: “Sarà la volta buona?”. Mi ero sbagliato. Questo signore che sembrava un giudice in realtà era il valletto del sindaco. Aveva un accento strano, sembrava svedese o trusco. Si sa, gli svedesi sono strani, quelli di Stoccolma ancora di più. Sì, era proprio di Stoccolma, l’accento era quello, la tipica calata “stoccolmese” o truschese. L’ho capito quando spiegava le regole della lotteria: “Attenziono attenziono, forse, plobrabrimente, certi posti de favore tieneno da essere più di favore degli altro. Li porto cu mmia. E dicitincello puro a li cumpagni vostri, posti pe tutti. U cuncorso nun ci so plobremi, lo faccio io medesimo di me stesso e nisciuno potra’ dicere che non è vero. Como lo sapete ho già assistemato altre persone ccu lo stesso trucco. Mo boni e niente pauro, che ci sto qua io. Jamo belli, jamo. Qua sta finendo tutto, è tutto scontato. So’ le ultime possibilità, non lasciatevele scappare. Chiamiamoli saldi di fine stagione. Mercanzia pregiata, posti de lavoro, ca te pavammo una merda di euri co sti cazzi di voucher, però vuoi mittere vendere la dignità pe 200/250 euri o mise? Si i vindemm tutti può esse che c’a facimme ‘nata vota”.

Jacob Andersen rideva e rideva. E poi rideva ancora. La piazza che prima era gremita si era svuotata: non c’era più nessuno, c’era rimasto solo lui, la corte e valletto, che mi invitava ad avvicinarmi. Ridevano a più non posso. Mi sono girato per andarmene, ma il valletto che parlava stoccolmese o trusco, mi faceva segno con la mano di restare, mentre con l’altra continuava a far girare la ruota. Ogni volta che questa si fermava indicava un nome. Dal fondo, ma non era nitido, si sentiva solo un urlo di gioia esclamare “Sono io, sono io. Grazie Jacob, grazie maestà”. Il valletto strillava e rideva: “Tieni figli puro tu. Lo vuoi un bel posto di lavoro? Te lo metto da parte se stai zitto e fai finta di non bèdere quello che assuccede a Copenaghen. Devi stare azzitto o ti faccio pigliare da quei signori lì”. Lo diceva a me, indicandomi con un dito che diventava sempre più lungo. Tra le risa di coloro che popolavano il palchetto, mi sono visto afferrato dalle braccia e immobilizzato da due loschi individui, uno con la pancia grossa e la crassa risata, l’altro piccolo e apparentemente innocuo, erano vestiti di nero. Avevano un teschio disegnato sulla divisa nera d’ordinanza: erano le guardie servili. Mi deridevano e mi strattonavano. Mi strattonavano sempre più forte. Ridevano a crepapelle. La loro risata rimbombava e creava un eco che diventava metallico.

“Papà che hai? Sveglia. Stavi gridando nel sonno. Tutto bene?”. Mio figlio mi ha svegliato, liberandomi ancora una volta da questa persecuzione. Un senso di liberazione mi ha pervaso immediatamente, è bastato un suo scrollone per riportarmi alla realtà, per liberarmi dall’incubo che stavo vivendo. Oramai cosciente, ho pensato che magari lo stesso scrollone di dignità lo avranno dato probabilmente quei giovani che nel sogno erano costretti e umiliati a partecipare a quella sorta di lotteria con la ruota.

Dopo questo ennesimo incubo, è proprio il caso di dirlo, “Ci sarà del marcio in Danimarca?”. Questi sogni ricorrenti, sempre con le stesse persone, sempre negli stessi posti, mi fanno pensare di sì. Io sono fortunato, perché ogni volta che mi sveglio mi rendo conto di vivere in una realtà in cui tutto questo non succede. Anzi, a Labico, per fortuna, ma veramente per fortuna, questi episodi non sono mai successi. Pensa se succedessero anche qui? Impossibile, questo è un sogno e i sogni non hanno aderenza con la realtà. Soprattutto se è un sogno nel sogno.

La vittoria dell’onestà

Chi la dura la vince. Così recita un adagio popolare molto efficace. Siamo stati pazienti e abbiamo fatto i passi necessari. Abbiamo denunciato le irregolarità dell’appalto della scuola media e il giudice ci ha dato ragione. Ci siamo costituiti parte civile, perché né l’amministrazione di allora (Giordani) né quella di oggi (Galli) hanno fatto nulla per tutelare i cittadini e i nostri diritti. Lo abbiamo fatto noi e avevamo ragione. Questo dimostra, qualora ce ne fosse ancora bisogno, che la buona politica c’è ed è viva, fa la sua parte e sta con il popolo. Grazie a chi ha creduto in noi e continua a manifestarci fiducia e consenso.

Di seguito troverete delle dichiarazioni che abbiamo rilasciato agli organi di stampa e il video, in una sorta di intervista doppia, in cui spieghiamo esattamente ciò che è successo. Questa è veramente la vittoria dell’onesta sulla faciloneria, le furbate e il disprezzo dei cittadini. Grazie.

Legalità e trasparenza vince la battaglia sull’appalto sospetto. Per il tribunale di Velletri l’affidamento dei lavori della scuola media è stato ottenuto grazie alla commissione di un reato.

E’ con una comprensibile soddisfazione che Tullio Berlenghi e Maurizio Spezzano commentano l’epilogo di una lunga vicenda iniziata ben 7 anni fa e che li ha visti combattere una battaglia solitaria alla ricerca della verità. “Finalmente il tribunale di Velletri ha riconosciuto quello che noi sostenevamo da tempo, ossia che i lavori per la scuola media siano stati affidati con una procedura viziata da alcune gravissime irregolarità. Purtroppo nessuno, a cominciare dal sindaco, all’epoca ci aveva ascoltati ed è stata necessaria una lunga lotta giudiziaria per ottenere finalmente il riconoscimento delle nostre ragioni”.

Tullio Berlenghi ripercorre la vicenda dall’inizio: “Il 6 novembre 2009 io e Maurizio Spezzano, dopo aver letto su un giornale locale la notizia dell’affidamento dei lavori per la ristrutturazione della scuola media, ci siamo recati al Comune per avere informazioni sull’appalto e abbiamo subito capito che c’era qualcosa di strano: la scelta del tipo di procedura, alcune irregolarità riscontrate nella pubblicazione del bando, l’assenza – all’epoca – di un elenco dei fornitori, le modalità e la curiosa sostanziale simultaneità di consegna delle buste, alterazioni nella compilazione dell’albo pretorio, l’evidente somiglianza della grafia di chi aveva compilato le domande (come confermato dalla perizia disposta dal tribunale). Insomma c’erano ragioni a sufficienza per far nascere non poche perplessità sull’ineccepibile regolarità dell’iter. Abbiamo immediatamente segnalato la questione sia al responsabile del procedimento sia al sindaco, al quale abbiamo chiesto di verificare la correttezza della procedura. Ovviamente non abbiamo avuto risposta e ci è stato fatto capire che non avevano alcuna intenzione di fare alcun tipo di verifica: l’iter sarebbe proseguito senza indugio. Io ho provato ad assistere all’apertura delle buste, ma, guarda caso, il responsabile del procedimento ha deciso di rinviare la stessa. Alla fine la procedura si è conclusa. Di cinque ditte partecipanti, due non avevano presentato la domanda,  due avevano la documentazione incompleta e l’aggiudicataria ha potuto ottenere l’appalto con un ribasso irrisorio: 4,78%, a fronte di una media di oltre il 20% delle gare ‘regolari’.

Abbiamo usato tutti gli strumenti per chiedere all’amministrazione di effettuare dei controlli, ma non c’è stato verso. Abbiamo fatto notare che l’irregolarità della procedura, oltre ad essere inaccettabile sotto il profilo amministrativo, comporta un danno per la collettività (nel caso in questione intorno ai centomila euro). Di fronte all’assordante silenzio di Giordani e Galli non abbiamo avuto altra scelta che rivolgerci alla magistratura. A seguito della nostra segnalazione sono partite le indagini e si è avviato un processo. Neanche questo è servito a smuovere i nostri amministratori. Pur essendo, infatti, il comune parte lesa, si sono guardati bene dal costituirsi parte civile. L’abbiamo dovuto fare noi, quando, chiamati a testimoniare in udienza, siamo venuti a conoscenza del processo in corso, durante il quale si è scoperto addirittura che una delle ditte “partecipanti” non aveva mai compilato il modulo (ma che, in caso di partecipazione, avrebbe offerto un ribasso del 20/25 per cento). Sarebbe bastata una telefonata per scoprirlo e nessuno al comune di Labico aveva ritenuto di farlo. Sciatteria o cosa?”

Conclude Maurizio Spezzano: “Il Tribunale di Velletri ci ha dato pienamente ragione. Con la sentenza del 7 ottobre scorso, il Giudice monocratico ha confermato che l’appalto per i lavori di ristrutturazione della scuola media è stato viziato dalla commissione di un reato molto grave, turbativa d’asta. E’ gravissimo che si speculi sull’intervento ad un edificio che ospita i nostri figli. Ed è ancora più grave l’assoluta indifferenza con cui il sindaco e il vicesindaco di allora hanno gestito la vicenda. Tra l’altro stiamo parlando dello stesso edificio del quale denunciamo da tempo l’inadeguatezza strutturale in caso di eventi sismici. Al di là delle responsabilità penali accertate, ci sono delle responsabilità politiche e amministrative di gran lunga più preoccupanti. Forse è davvero il caso che Labico decida di voltare pagina”.

Questo è il link per il video:

http://www.ibarbari.it/video/labico-la-sentenza-sullappalto-sospetto-cera-reato/

Risposta al signor Galli

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Comunicato Lista Civica – LEGALITA’ e TRASPARENZA

Non abbiamo alcuna voglia di farci trascinare in una squallida polemica politica giocata sulla memoria di una persona a noi cara, ma siamo costretti ad alcune doverose considerazioni sulle questioni sollevate dal sindaco Galli:

  1. Ci saremmo aspettati, alla luce della stima e dell’apprezzamento espressi con la recente dichiarazione di Galli nei confronti di Massimo Ciocci, un’assunzione chiara di impegno per onorare degnamente la sua memoria e non la semplice partecipazione ad un’iniziativa organizzata da altri (ai quali va il nostro sentito ringraziamento).
  2. Non è la prima volta che il sindaco cita le leggi senza prendersi cura di leggerle e quindi fa riferimento ad una norma, la legge n. 1188 del 1927, che, oltre ad individuare in modo tassativo i luoghi pubblici soggetti alle disposizioni della norma (tra cui non risultano gli impianti sportivi), prevede la possibilità di una deroga.
  3. Con due successivi decreti, il Ministero dell’interno ha dettato disposizioni più dettagliate sulle modalità di concessione della deroga, attribuendone la competenza alle prefetture territoriali.
  4. Giusto per fare un esempio, basterebbe che Galli si girasse intorno per scoprire che a Palestrina – a pochi chilometri da Labico – è stato recentemente intitolato proprio un impianto sportivo ad una persona deceduta da meno di dieci anni. Un illecito o una sincera determinazione del consiglio comunale?
  5. Non è chiaro il motivo per cui Galli – a ben 8 mesi dall’interrogazione di Maurizio Spezzano – non si è degnato di dare una risposta, ignorando un atto legittimo di un consigliere comunale, contravvenendo all’istituto giuridico che sottintende i rapporti istituzionali.
  6. Se davvero Galli e la sua maggioranza, come affermano, “non esiteranno a dedicare una struttura pubblica al nostro caro concittadino”, siamo certi che approveranno in modo unanime l’ordine del giorno che Maurizio Spezzano depositerà al prossimo consiglio comunale con questo preciso impegno.

Ci auguriamo che il signore che spende il suo tempo a far pubblicare comunicati, si affretti a risolvere i problemi del paese, non ultima l’ubicazione della classe “verde” e la scuola in generale. Dia risposte, inoltre, queste sì importanti, sull’aumento delle imposte locali, sulla situazione comatosa dei servizi, sul piano di rientro dei debiti del depuratore, sul PRG osannato e oramai cotto, sulla chiusura delle lottizzazioni scadute, sulla cura del verde pubblico, sulla tutela del centro storico, sulla riqualificazione di interi quartieri, sulla pulizia delle strade, sulla vita sociale, sulla fine dei lavori infiniti nel plesso del primo ciclo, sulla conclusione del marciapiede sulla Casilina che rischia di diventare un motto popolare, sulla sicurezza stradale, sull’illuminazione di intere periferie urbane, sul manto stradale ridotto a un colabrodo, sul sistema fognario, ecc. ecc., ma anche sul rispetto del Regolamento e dello Statuto comunale, che impongono al Sindaco di rispondere alle richieste dei consiglieri e dei cittadini. Se non per legge, per rispetto delle persone.

Il signor Galli farebbe meglio a spendere le sue energie a rispondere con i fatti e non con le chiacchiere ai tanti problemi aperti e di cui l’elenco appena fatto ne è una parte. Il suo tempo è in scadenza e anche lui lo sa, e aggredire l’opposizione non fa altro che accelerare questo processo di disgregazione del poco consenso che gli è rimasto. Per cui stia sereno.

Cronaca di una mattinata elettorale

equilibristaMercoledì 13 è stata una giornata veramente speciale. Sveglia alle ore 4.30 e partenza per Roma, direzione cantiere edile sulla Tiburtina. Su invito di un mio carissimo amico, titolare di una ditta di manutenzione impiantistica, ho incontrato gli operai del turno mattutino. Un freddo che tagliava il viso e lieve nebbiolina che stagnava immobile intorno al deposito, punto di incontro prima della destinazione nei vari cantieri dislocato in città. Visi stanchi, alcuni rugosi, sintomo dell’età che inesorabilmente segna le sembianze. Il primo pensiero è alla riforma pensionistica della signora Fornero. A guardare quei visi mi è venuto da pensare alla titolare della riforma medesima, magari ancora nel suo caldo letto, mentre fuori c’è chi è pronto ad intervenire per garantire anche a lei il passaggio del gas per riscaldare quella stessa stanza. Forse lei lo ignora, chi la mattina è pronto per intervenire no.

Poi le parole, i sorrisi e il primo timido tentativo di esporre i propri problemi: la casa, la salute, il lavoro, la famiglia e i figli; e ancora il lavoro e la paura di perderlo. Portare avanti la famiglia con uno stipendio è difficile e chi ha i figli all’università si priva di ogni cosa pur di far raggiungere la laurea, simbolo del riscatto sociale degli ultimi che non si arrendono alla legge della ricchezza. Lavorare in ogni condizione atmosferica, con la pioggia, con il freddo o con il sole, loro stanno lì a fare il proprio dovere. I soldi scarseggiano e i sacrifici sono tanti. A volte bisogna mandare giù qualche boccone amaro, ma la dignità li tiene fermi con lo sguardo fisso verso il futuro, speranzosi nel cambiamento.

Il mio amico Franco si lamenta dell’incapacità, a volte, di non poter pagare gli stipendi perché gli enti pubblici ritardano nei pagamenti: 120, 180 giorni e a volte di più, sono veramente tanti. Ma lui fa fronte con i suoi risparmi alle scadenze salariali. L’esempio di buon imprenditore. Non può licenziare, è coraggioso, non può mettere alla porta padri di famiglia, lui che viene dal basso vive con umiltà insieme ai suoi cari. Niente lussi. Ogni mattina alle 6,00 è in cantiere a controllare che le squadre partano per i vari interventi. Incoraggia i suoi lavoratori, impartisce ordini con gentilezza, li saluta e spegne le luci del deposito prima di uscire.

Al bar con due capisquadra chiacchieriamo di politica. Sono stufi di avere a che fare con i corrotti, con politici che pensano solo a se stessi e ai propri gruppi. Mi confidano che in molti li hanno cercati per i voti, ma hanno saputo resistere alle pressioni. Questa volta è diverso, non vogliono essere complici di un ulteriore scatafascio. Hanno invitato me perché Franco è stato mio amico all’Università: lui ingegneria e io lettere. Lui gli ha parlato di me, dell’amicizia che ci lega e delle tante battaglie fatte all’Università. Tanti aneddoti di quella bella età. Compagni di tante battaglie all’Università. Epoca di scontri, di confronti serrati, l’epoca del craxismo, del nuovo che avanza, del 5%, dell’invadenza partitica delle strutture pubbliche. Unica luce di quegli anni fu Berlinguer, ma per poco, il tempo necessario per lanciare l’allarme mai raccolto da nessuno: la questione morale. Gli anni ottanta furono così. L’attacco alla scala mobile, il decreto di san Valentino.

Oggi, mi dice Franco, è peggio. Una classe politica stracciona rappresentata da Scilipoti, da Lusi, Fiorito e altri corrotti. Politica degli scandali sessuali, delle escort, delle maschere raffiguranti maiali, di arroganti mediocri e presenzialisti. L’apparire per non morire e della TV stritola ogni cosa: crea il successo e uccide i suoi miti.

Ci lasciamo così, unica richiesta: “Non dimenticatevi del popolo perché se si ribella sono guai per tutti”. Ci salutiamo con i capisquadra. Con Franco ci abbracciamo con calore Insieme abbiamo attraversato tutta quell’epoca, ma non ci siamo arresi. Noi che ci siamo passati conosciamo bene la rabbia di chi è stanco.

In macchina ho un flashback della mia esistenza. Ripercorro velocemente quegli anni e penso quando giovane volevo mangiare il mondo in un sol boccone. Oggi sono ancora qui, con la stessa determinazione di allora. Qualcuno non ha voluto passarci la mano. Vuol dire che faremo di tutto per riprenderci ciò che allora ci tolsero. Siamo arrabbiati alla stessa maniera. Lo dobbiamo fare per quei lavoratori, per Franco e per dare un senso ai nostri sogni.

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