Maurizio Spezzano

Dalla parte del torto in mancanza di un altro posto in cui mettersi

Archivio per il tag “fiabe e favole”

La volpe e l’uva

Eccomi, beccati con il sorcio in bocca. Le bugie nell’immaginario collettivo hanno due rappresentazioni: naso lungo e gambe corte. Non so perché ma quelli di rinnovare ce li hanno entrambi. In merito all’articolo “In Spezzano veritas“, infarcito di parole scritte a casaccio, mi permetto di contraddire ogni loro parola. Infatti, ho avuto modo di recarmi nuovamente negli uffici per avere conferma di ciò che ho sostenuto. E non poteva essere altrimenti: ho date, costi e smentite. Per cui li metterò a tacere con le prove, non con le chiacchiere. Dopo, spero facciano una bella immersione in un bagno di umiltà, gli farà bene al corpo e allo spirito.

Per ora, visto che non ho tempo per scrivere grandi romanzi e a Copenaghen questa volta non ci sono potuto andare, mi limito a raccontare una favola, è di Esopo, che molto avrebbe scritto su questi personaggi. La morale finale si addice alla perfezione.

“LA VOLPE E L’UVA

Una volpe affamata vide dei grappoli d’uva che pendevano da un pergolato, e tentò di afferrarli più e più volte. Ma non ci riuscì. “Robaccia acerba!” disse allora tra sé e sé; e se ne andò. Così, anche fra gli uomini, c’è chi, non riuscendo per incapacità a raggiungere il suo intento, ne dà la colpa alle circostanze e agli uomini. Nel nostro caso all’opposizione e strada facendo ai dipendenti”.

Esopo, XXXII; Fedro, IV, 3.

Ora facciamo due conti semplici semplici che possono capire anche loro. I nostri sostengono, anche con una certa superficialità, che non ci sono cifre da 40.000 euro (da me citate), accusando chi mi ha informato di aver dichiarato cose inesistenti, anzi che lo hanno fatto male, e che mi sono inventato determine che non ci sono. Confermo che i miei informatori sono gli uffici, non le chiacchiere da bar o le mezze verità come fanno loro. E gli uffici, che lavorano in situazioni di effettiva difficoltà, sono sempre ben disposti a rispondere alle richieste dei consiglieri. Per cui, ancor prima di iniziare, a loro va la mia solidarietà per gli attacchi continui che subiscono da chi dovrebbe proteggerli e invece li fa diventare bersagli. Solidarietà massima ai lavoratori sempre e comunque.

Intanto, non mi informano ma mi informo, c’è una bella differenza (anche l’uso dell’italiano fa una bella differenza!!). Le famose opere migliorative da realizzare nell’ambito dell’opera pubblica dei lavori di ampliamento della scuola del primo ciclo (elementare) Maestra Iole, hanno un importo di 100.000 euro circa che la ditta “offre” al nostro comune (non sono regalati, fanno parte dell’offerta tecnica e migliorativa!!). Questo emerge dal computo metrico. Di questa cifra, 60.000 euro sono stati utilizzati per il tetto, la restante cifra, per un importo di circa 44.050, sono opere che riguardano altro. Nel computo metrico iniziale, erano destinati, per sei interventi: a) riqualificazione aiuole; b) area svago; c) vernici speciali; d) impianto fotovoltaico; e) sensori luci bagni; f) sensori ottici rubinetti bagni. Per intenderci, nell’aria svago erano previsti dei giochi che ad oggi non ci sono, né sono previsti nel nuovo computo metrico.

Per capire meglio la storia delle determine, cito un po’ di date. Intanto l’appalto è lungo, molto lungo, iniziato nel decennio precedente. Ma relativamente a ciò che ci interessa, tutto ha inizio il 15 dicembre 2016, quando il comune di Labico presenta il computo metrico estimativo delle opere a compensazione (i restanti 43.928,06) in variante a quello iniziale, cioè previsto nel computo metrico tecnico di assegnazione dell’appalto.

Il 30 dicembre 2016, si accettano le proposte e il responsabile del dipartimento firma la prima determina.

Il 5 gennaio 2017 viene firmato l’atto di sottomissione, tra il comune e la ditta, la quale si impegna a realizzare quelle opere.

Il 19 gennaio 2017 viene firmata la seconda determina che affida i lavori alla ditta, per un importo di 43.928,06.

Che cosa cambia rispetto a prima? Molto. Intanto cambia quello che era previsto nel computo metrico iniziale: i vialetti del “prato” (parola che suona stonata a chi è abituato a ragionare in metri cubi di cemento!!) che dovevano essere di brecciolino, a settembre diventano di asfalto bituminoso. (ancora non si sa chi lo abbia ordinato!), che con sommo scuorno fanno arrabbiare tutto un paese. A distanza di mesi, cinque per l’esattezza, si decide di eliminare l’asfalto, perché forse faceva schifo anche a loro, e si decide, così dice il computo metrico approvato, di rivestire una gran parte in quadrotti di gomma antitrauma, (zona est e zona ovest (?)), e la parte perimetrale delle aiuole a corteccia di pino (ma non c’era il pericolo che i bambini si potessero fare male?). Inoltre, è prevista la  sistemazione della pavimentazione interna in gomma (le parti saltate, per intenderci!), e poi udite udite, nuova targa in marmo del costo di 850 euro. Ma non l’avevano già messa la targa autocelebrativa? Che targa è questa? Mi auguro che si limitino a indicare il nome della scuola. Questi sono i lavori che si devono fare, possibilmente prima delle elezioni, così possono inaugurare un’altra volta.

La cosa grave sapete qual è? Che nel computo metrico iniziale era previsto l’impianto fotovoltaico. Avete capito bene, l’impianto fotovoltaico per un costo di 12.000 euro. Cucù, il fotovoltaico non c’è più! C’erano vernici speciali, c’erano sensori delle luci (a proposito, le luci della scuola sono quasi sempre accese di sera, di chi è la colpa? dell’opposizione?), c’erano sensori ai rubinetti del bagno, c’erano i giochi per l’aria svago.

Ecco, ho finito. Non c’è altro da aggiungere. Avevo scritto bugie? Ci sono le determine? Ci sono i 40.000 euro? Sono stati variati i lavori? I cittadini mi renderanno giustizia: se ho detto bugie è giusto che io paghi, ma se in Spezzano veritas loro si dovrebbero dimettere e anche di corsa. Io ho tutti gli atti, vecchi e nuovi. Se qualcuno che non si fida e vuole visionarli, sono disponibile in qualsiasi momento a metterli a disposizione. Per il resto ci sono chiacchiere e distintivo. Io non dico bugie, non fa parte della mia cultura. Orgoglioso delle mie origini contadine, fatte di sacrifici e onestà, mi hanno insegnato che non si mente ed è preferibile davanti agli errori, che pure ci possono essere, di avere l’umiltà di chiedere scusa. Io di solito lo faccio. Non so loro.

La fiaba viabile

Oggi voglio raccontarvi una fiaba, che narra avvenimenti successi nel tempo dei tempi.

WP_20150120_004C’era una volta, anzi, successe una volta, tanto ma tanto tempo fa, che le tratte della Calisina Labiquà/Valpianura e Valpianura/Colleacciaio, vennero regolate da semafori a causa del restringimento della carreggiata per i danni della pioggia intensa di quel tempo. Tutto questo in attesa del finanziamento e del ripristino della carreggiata stessa. Tutti gli abitanti della zona aspettavano l’inizio dei lavori da lì a pochi giorni. La Calisina era una strada importante per quei tempi, quando tutti viaggiavano in macchina e non come ora che viaggiano in eliputtero. Era così importante che solo gli sciocchi potevano trascurarla. I mesi passavano ma nessuno si muoveva per fare qualcosa.

WP_20150120_003Poco prima delle elezioni, un antico e barbaro modo per scegliere i governanti di allora, un “ciofin signore” segretario del DP, uno che la sapeva lunga, nonché assessore in pectore ai lavori pubblici del territorio – bada bene, in pectore, non assessore – annunciò in pompa magna che – con tanto di manifesto – grazie al suo disinteressato e per niente strumentale interessamento il dipartimento aveva stanziato non so quanti “leuri” per ripristinare la viabilità regolare. Era periodo elettorale, si dovevano scegliere non ricordo quali consoli di sua maestà Renzietto ‘a vuccalarga, e si solea promettere favori per avere suffragi: un favore un suffragio.

WP_20150120_002Passate le elezioni e poi l’estate, un provocatore del posto, rompendo la ferrea censura del tempo, tal Bullio Terlenghi, mise il dito nella piaga, facendo intendere – cosa tra l’altro che tutti avevano capito – che il “ciofin signore” segretario, avesse astutamente “furbeggiato” sulla vicenda. In pratica, il provocatore Terlenghi aveva sostenuto che il “ciofin signore”, senza mai citarlo, aveva approfittato delle elezioni per strappare qualche voto in più agli ignari elettori, gli stessi che si fanno incantare dall’aria fritta. Cosa non si fa per un voto in più!!! pensarono in molti. In verità lo pensai anche io, che pur essendo il narratore dovrei astenermi di esprimere giudizi!

WP_20150120_001Apriti cielo!! Il “ciofin signore” segretario, nonché assessore in pectore del territorio e dei suoi confini, si armò di comunicato stampa e diede del provocatore di professione al provocatore dilettante Terlenghi. Insomma, lo fece salire di grado, ignobilissima cosa per un dilettante allo sbaraglio! Di sicuro il comunicato lo vergò di suo pugno, tanta era l’enfasi e la rabbia! Non solo, per dare maggiore vigore alla sua indignazione contro il povero Terlenghi, fece sottoscrivere il piccato comunicato anche al non più “ciofine” burgermeister locale, che incredulo e basito colse al volo la prima mela, come diceva Branduardi, elogiando l’armonia ritrovata e i comuni interessi a vantaggio della comunità, il lavoro di squadra e altre enfatiche dichiarazioni. Me cojomberi, pensarono tutti! Me cojomberi, pensai anche io. Anche perché, era risaputo che in quel tempo tra il “ciofin signore” segretario e il burgermeister sembrava non corresse buon sangue, almeno così sembrava. Ma si sa, la politica va e viene, oggi una cosa la dico io con te e domani tu con me! Il provocatore Terlenghi, ed io con lui, – pur non dovendo io prendere parte alle vicende della fiaba – restammo un po’ interdetti da questa ritrovata unità di intenti, risultava almeno almeno non confacente alla logica un simile agglomerato di amore. Ma tanto sta!

I mesi passano e dei lavori neanche l’ombra.. Il “ciofine signore”, pressato dall’impazienza degli utenti che – allucinati dalle belle parole del manifesto ipnotico di qualche mese prima – gli rinfacciavano di tanto in tanto la promessa, dopo aver sguinzagliato nei meandri burocratici i suoi segugi, di affrettò a riconoscere che c’erano stati dei contrattempi non dipendenti dalla sua volontà. Evidentemente, ma questa è letteratura fantasy dello scrivente, i cattivoni burocrati dipartimentali lo avevano buggerato! (Si dice così quando uno prende per i fondelli l’altro?) Sta di fatto che, trovato l’intoppo, prometteva che in men che non si dica i lavori, finalmente, sarebbero iniziati.

Passa l’autunno e si inoltra l’inverno; passa Natale, Santo Stefano, Capodanno e la Befana. Si era in prossimità del Carnevale ma dei lavori neanche l’ombra.

Non è che qualcuno boicotta il “ciofin signore” e noi ne facciamo le spese? – pensarono tutti!

Non sarebbe bello! Intanto perché tranquillamente continuavano a pagare il bollo auto; intanto perché l’arteria in questione era importante; intanto perché qualcuno, anche se in silenzio, cominciava a buttare lì qualche bestemmia, all’insaputa del nerboruto Bentivoglio, un santone dell’epoca, pronto a mollare una papagna se qualcuno gli citava impropriamente mamma; intanto perché molti – dopo mesi, mesi e mesi, promesse, promesse e promesse – cominciavano ad essere allergici al rosso e al verde, colori desueti e fuori moda, soprattutto il rosso.

La fiaba finisce qua, non c’è il finale solito: “E tutti vissero felici e contenti”! Mica è obbligatorio, ci sono fiabe che non finiscono, continuano e ognuno è libero di attaccarci un pezzo. Il prossimo pezzo sarà che di sicuro, prima o poi, qualcuno metterà mano alla strada, concluderà i lavori, come è nella logica, ma ci sarà qualcuno pronto a dire: “E’ merito mio”, senza rendersi conto che, a questo punto della fiaba, tale dichiarazione sarà ridicola, tanto che anche gli allocchi non ci crederanno.

Quindi, non c’è finale, almeno per ora, c’è però la morale, seppur la fiaba resta aperta. Sapete qual è? Diffidare di chi promette solo per credersi indispensabile. Ma allora è una favola, non una fiaba, potreste dire voi! No, sbagliate, è una fiaba perché queste cose succedono in ogni tempo, quindi non hanno tempo, in ogni luogo, quindi non hanno spazio, non hanno nome. Questa fiaba è frutto della fantasia malata di chi, inebriato dagli effluvi etilici, ha tempo da perdere e racconta fiabe e favole insieme, confondendo le uni nelle altre. Per cui fatti, personaggi, luoghi e circostanze sono frutto della fantasia e nulla è reale. O no?

Il menestrello triste

La fiaba dei garzoni e delle allegre associazioni

il-menestrello-stanco1C’è una volta, in un villaggio vicino vicino, là dove inizia una grande vallata inquinata, due garzoni di bottega (licenza favolistica n.d.r) che lottano per la propria dignità: mantenere il proprio posto di lavoro ingiustificatamente occupato da altri. E sono lì da tempo, ora sono lustri che resistono! Con il sole e con la pioggia continuano a lottare, derisi in alcuni casi da servi servili e sciocchi. I due decidono addirittura di portare i padroni della bottega davanti a un gonfalone del popolo affinché giudichi il loro operato, cosa tremenda e impensabile fino a qualche tempo prima! All’approssimarsi della scadenza della cassa integrazione, (pensate un po’, c’era già allora in tempi lontani lontani e veniva pagata con gli oboli versati di anno in anno dagli altri garzoni) i due, sostenuti da un’organizzazione paraclandestina, una specie di sindacato ante sindacato, decidono di presidiare la bottega, con l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica. Per dare maggiore risalto a questa forma di protesta, chiedono la solidarietà un po’ a tutti gli abitanti del villaggio: alcuni aderiscono perché ci credono, altri non rispondono all’invito, altri se ne strafregano alla grande, tanto a loro non tocca, altri ancora lo fanno perché pensano di trarne benefici di immagine da utilizzare per la candidatura a priore del villaggio, tanto per quello che valgono i presidi in questo tempo, pensano costoro, è solo tempo perso, ma meglio esserci, non si sa mai!!!!

In questo stesso villaggio vicino vicino, là dove inizia la grande vallata inquinata, si dà il caso che c’è un’Associazione di arti minori denominata Similsinistra e Affini, che predica sulla tutela dei garzoni di bottega, ma avvezza ai giochi di potere. Lo stesso Dante, infatti, raccontatore di favole e politica, avendo patito l’isolamento e l’esilio per loro colpa, li colloca nell’Inferno tra i traditori della patria e degli amici. Questa associazione predica, predica, fa comunicati nelle piazze dei villaggi, appoggia reclami, porta solidarietà. A volte si spinge oltre e rasentando il ridicolo, senza accorgersene di essere ridicola, fa la voce grossa, non perché sia un tenore, perché gli piace essere così, perché vive di immagine e fumo senza arrosto, giusto per il gusto di essere doppi e tripli. Il comandante dell’Associazione Similsinistra e Affini, armato di alabarda, grande lingua, veloce penna e telefonino di ultima generazione, una specie di tamtam d’epoca che si portava a tracolla, in grado di dipingere quadri da inviare su facelibro, una sorta di album virtuale, invitato alla manifestazione non si lascia sfuggire l’occasione di esserci senza crederci e si unisce al gruppo. Sfruttando l’occasione e la visibilità decide di fare le cose in grande: partecipa, per ben due rintocchi di campana due, al presidio dei garzoni a rischio mobilità, trascinandosi dietro il suo nume tutelare, un vecchio trombone del contado, nominato membro di gabinetto alla corte del signore. Porta con sé, inoltre, un nobiluomo locale già della corte nell’illo tempo del sultano locale, uomo sanguigno e vendicativo, dal sorriso furbo, ma ingannevole, (il sultano, si intende, ché qui subito si capisce male e si finisce alla gogna, pratica usata da molti esponenti quinquennali dell’Associazione Similsinistra e Affini!) e un giovane smarrito e sperso, apprendista nell’arte della politica, dotto dicitore di frasi bolsceviche, pratica obsoleta oramai scomparsa dal panorama associativo, a favore sì del popolo ma utile a se stesso.

Attività lodevole, sicuramente quella dell’Associazione Similsinistra e Affini. Chi non porterebbe solidarietà ai garzoni a rischio mobilità? Pensate un po’, lo ha fatto anche il vecchio saltuno locale, matusalemme e autocrate a tempo pieno, profondo conoscitore e abituale praticante dell’attività cassintegrata, avendola esercitata per anni e anni e anni, oggi come ieri e sempre sorprendentemente in un posto di priorato, sbalordendo le contrade vicine. A onor del vero, più che sorpresa è botta di culo: grazie al complotto di alcuni oscuri e mediocri affiliati locali dell’Associazione Similsinistra e Affini, che avendo rottamato come inutile, per presunzione, arroganza e spavalderia, una vecchia Associazione, la Pro Civitate Progressum, dinamica, funzionante e utile ai villici per molto tempo, ha permesso al furbo e o-scuro sultano di farla franca un’altra volta. L’Associazione Pro Civitate Progressum, attiva per dodici semestri, era una specie di congregazione laica da cui partivano idee, iniziative e lotte, ma i cui fragili ingranaggi interni erano tenuti insieme da due ruote quasi indipendenti, non collegate ai comandi che qualcuno voleva partissero dalla centrale dell’Associazione Similsinistra e Affini, al cui blocco si paralizzava l’intera attività motrice, mettendo in crisi l’ego satrapico di bambini in erba. Sarà stato per questo difetto di fabbricazione che il giocattolo è stato rottamato? Ma questa è un’altra favola che se fate i buoni forse racconterò!

Un giorno, giorno più giorno meno, un menestrello girovago e terun che solea cantar inascoltato senza paura la verità nelle piazze dei villaggi, transita per un borgo prossima al villaggio dove è ambientata l’intera vicenda e distrattamente nota dei bandi che invitano a votare per le primarie locali dell’Associazione Similsinistra e Affini. Le primarie dell’epoca erano una sorta di presa per il culo, a cui per partecipare i villici dovevano portare in dono due caciotte, inventate da tal Piergigi Persa-nelli da Bettola, nella contea Emilia. In realtà non decidevano nulla perché i giochi di potere spostavano il consenso da una parte all’altra a seconda degli interessi in campo, tutto legato al gioco delle fazioni del mattone bianco e del mattone nero, più o meno come nei tempi presenti, con la differenze che le caciotte sono state sostituite dagli Euri, un pezzo di metallo che serve ad arricchire chi li possiede! Messo a fuoco il bando – il menestrello è un po’ miope e tardo n.d.r– quasi gli cadono gli spartiti e la chitarra dalle mani per la sorpresa! Ma cosa vede mai! Si toglie gli spessi vetri da miope che per vezzo indossava al solo scopo di darsi arie da intellettuale, li pulisce meglio con un angoletto del suo mantello – effettivamente erano un po’ zozzetti – e prova a rimettere a fuoco il manifesto, fosse mai che la nebbiolina di sozzura sui cocci di vetro avesse alterato i caratteri!

No, niente errori, non si era sbagliato! Meraviglia delle meraviglie! chi è il candidato alle primarie per la carica di priore del borgo Cesareo dell’Associazione Similsinistra e Affini che ha rovinato la giornata al  menestrello veteroconservatororfansinistroprogressista? Chi questo esponente che a parole milita e tutela i sudditi dalle angherie dei prepotenti? Chi il difensore indefesso che ha sotto tiro le botteghe condannate per attività antisindacali? Da non crederci! un famigliare della stessa casata proprietaria di quella stessa bottega che mantiene per ragioni oscure i due garzoni in cassa integrazione!

Ma come? si chiede il menestrello, com’è possibile che alle primarie per il priorato del borgo sia candidato un esponente che milita nell’Associazione Similsinistra e Affini, difensore a parole dei diritti dei garzoni ingiustamente cassintegrati, mentre lo stesso associato nel villaggio contiguo si comporta come colui che vuole combattere? Tradotto da menestrellese a villaggese: in un posto mi candido perché difendo i garzoni, nell’altro sono libero di cacciarli tanto non sono candidato e mi comporto da padrone; e poi chi se ne fotte se sputtano l’Associazione Similsinistra e Affini di cui non me ne fotto proprio tanto si chiederà il voto utile qualora se ne senta il bisogno? Il voto utile del tempo lontano lontano era una pezza che copriva la faccia quando si voleva ridere senza essere visti.

A questo punto, come d’obbligo per un finale da fiaba, dovrebbe intervenire l’eroe e fare giustizia, punire i cattivi e ridare libertà al villaggio, facendo riassumere in bottega i due garzoni, sputtanare il voto utile e rottamare l’Associazione Similsinistra e Affini. Ma in questa fiaba non ci sono eroi, non ci sono garzoni e non ci sono botteghe, non ci sono associazioni e non c’è il voto utile. C’è tanta rabbia e ipocrisia. Tanti falsità e doppiogiochismo. Tante chiacchiere e molta doppiezza.

La fiaba finisce così, è una fiaba anomala, che non annovera … e tutti vissero felici e contenti. Termina così come era iniziata: irrazionale, come tutto ciò che è gioco sporco, subdolo e falso. Come falsa è questa storia, i personaggi e gli avvenimenti, le circostanze e i nomi, la lingua e la grammatica. E’ falsa, come falsa è la letteratura fiabesca. E’ un gioco di equivoci, di parole e di ruoli, di situazioni. Forse è meglio così.

Mi sono voluto divertire ad inventare una storia, che non ha nulla in comune con il passo dei tempi. E’ fuori tempo come le fiabe, è fuori luogo come i borghi e i villaggi. Ribadisco, avevo tempo da perdere e non sapevo come riempirlo e mi sono divertito a prendermi in giro da solo. O forse no!

E’ una fiaba senza finale, ma ha la presunzione di voler essere una favola. Allora se è una favola, ha sicuramente una morale. Sì, c’è la morale: diffidate di chi a parole dice una cosa e negli atti smentisce ciò che ha detto. Diffidate dalla doppiezza e affidatevi alla verità, che è una e non può essere doppia.

… e tutti vissero felici e contenti.

Navigazione articolo