Maurizio Spezzano

Dalla parte del torto in mancanza di un altro posto in cui mettersi

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SALDI DI FINE STAGIONE A COPENAGHEN

Sono partiti i saldi di fine stagione a Copenaghen. L’annata 2012/2016 non è stata delle più felici per il sindaco Jacob Andersen, per cui dà fondo alle giacenze di magazzino conservate per le grandi occasioni. Resta questo scorcio di 2017 per cercare di rimpinguare le casse consensuali, e per raggiungere l’obiettivo della rielezione è disposto a fare ogni cosa, a offrire ogni cosa, a dire sempre sì e ad accontentare tutti, ma proprio tutti, addirittura è disposto ad andare casa per casa a fare le pulizie. Diciamo, non a tutti, quelli cattivi cattivi no, per loro scapaccioni sulla testa dura e niente pacche sulle spalle. Neanche pulizie! Niente sorrisi e niente saluti. Molti pezzi in saldo sono oramai fuori moda, mercanzia egregia per gli ingenui, lucente di fuori ma arrugginita dentro, ottima per coloro che spinti dalla disperazione sono disposti a farsi raggirare in ogni modo. Insomma, roba di facciata che serve al sindaco Andersen per ipnotizzare l’opinione pubblica (anche nei sogni c’è l’opinione pubblica e anche nei sogni si fa ipnotizzare!!!). Il problema non è del sindaco di Copenaghen – lui è sempre stato uomo scaltro, ha sempre mercanteggiato, ha rifilato bidoni a tutti, anche ai migliori amici – semmai, il problema è di chi, spinto dalla disperazione e dai magri introiti, è costretto ad accettare qualsiasi “abito”.

Inizia con questa introduzione l’ennesimo sogno danese, l’incubo di Copenaghen. Un sogno nel sogno. Ho sognato che stavo scrivendo il sogno e prima di finirlo mi sono addormentato. E’ il sogno di queste sere di rigide temperature, provenienti dai venti del Mar Baltico. Mentre scrivevo il sogno mi sono addormentato davanti al tepore del camino acceso, sognando. Ho sognato che stavo scrivendo che ero in città, raccontando di una passeggiata per le vie del centro – Copenaghen è veramente incantevole nelle serate invernali – quando la mia attenzione è stata attratta dalle vetrine degli amici del sindaco Andersen: avevano esposto cartelli che pubblicizzavano precarissimi posti di lavoro. Promettevano di dare fondo a tutti gli articoli di magazzino (tra le rimanenze abbondavano i voucher, una moneta moderna che schiavizza il lavoratore!). Alcuni di questi “clienti” si erano fatti  illudere e una volta dentro avevano accettato la mercanzia, convinti di poter risolvere per sempre i loro problemi (come dire, sono scalzo e mi faccio rifilare un paio di scarpe composte da due sole destre di colori differenti e di taglia differente). Alcuni accortisi della fregatura avevano cominciato a lamentarsi, ma gli sgherri di Jacob Andersen li minacciavano con bollette e accertamenti fiscali.

Mentre sognavo, tra me pensavo: “Questa città vive veramente in un mondo capovolto! E’ strana. Alcuni passaggi non mi sono chiari. I cittadini per quattro anni hanno trovato i ‘negozi’ chiusi con la scusa che le scorte erano finite ed ora, in questo finale di stagione, ecco i saldi e i negozi pieni. Il sindaco Jacob Andersen ha pianto miseria per tutto il tempo, quasi dalla rabbia non rideva più. Pochissime pacche sulle spalle, solo agli amici più fidati, che andavano in giro a ripetere che non era vero che c’era miseria, anzi, si stava meglio quando si stava peggio. Andersen che diceva a tutti di non sapere nulla, non sapeva neppure che le cose andavano male. E’ stato tanto maltrattato che quando passava per la piazza con il suo elicottero la gente quasi gli inveiva contro. Eppure eccolo lì, nuovamente sorridente e soddisfatto”.

Io pensavo e sognavo questo. E intanto camminavo per le vie di Copenaghen. A un tratto un ragazzo mi viene incontro e mi dà un volantino: “Grande svendita. Ultimi sei mesi di sconti. I magazzini del sindaco Jacob Andersen sono lieti di invitare tutta la cittadinanza alla giornata del lavoro precario. Voucher e cotillon ai partecipanti. Non perdete questa grande occasione. Partecipate alla ruota della fortuna, si vincono posti simil sicuri. Svendita totale per rinnovo locali. Ultimissime possibilità”. C’era la firma di Jacob Andersen in bella mostra, una sua vecchia foto di quando aveva trent’anni, con i capelli intonsi e il sorriso sornione.

Pensieroso com’ero, ho imboccato una strada – si sa come sono i sogni, pensi una cosa e poi ne fai un’altra – percorsa velocemente da un gruppo di persone, in realtà erano poche. C’era una forza strana che mi spingeva in quella direzione. Mi sono incamminato a passo veloce. Sentivo urla e una ruota che girava. Avete presente quelle ruote che servono per vincere i prosciutti? In fondo alla strada si apriva uno slargo, mi sembrava quello del comune di Copenaghen, ma non sono sicuro, i sogni già sono strani, ma il sogno nel sogno è strano il doppio!. In alto, su un palchetto, c’era il sindaco Jacob Andersen e la sua bella corte. Vicino a lui un altro signore, che a vederlo sembrava un giudice. Ho pensato: “Sarà la volta buona?”. Mi ero sbagliato. Questo signore che sembrava un giudice in realtà era il valletto del sindaco. Aveva un accento strano, sembrava svedese o trusco. Si sa, gli svedesi sono strani, quelli di Stoccolma ancora di più. Sì, era proprio di Stoccolma, l’accento era quello, la tipica calata “stoccolmese” o truschese. L’ho capito quando spiegava le regole della lotteria: “Attenziono attenziono, forse, plobrabrimente, certi posti de favore tieneno da essere più di favore degli altro. Li porto cu mmia. E dicitincello puro a li cumpagni vostri, posti pe tutti. U cuncorso nun ci so plobremi, lo faccio io medesimo di me stesso e nisciuno potra’ dicere che non è vero. Como lo sapete ho già assistemato altre persone ccu lo stesso trucco. Mo boni e niente pauro, che ci sto qua io. Jamo belli, jamo. Qua sta finendo tutto, è tutto scontato. So’ le ultime possibilità, non lasciatevele scappare. Chiamiamoli saldi di fine stagione. Mercanzia pregiata, posti de lavoro, ca te pavammo una merda di euri co sti cazzi di voucher, però vuoi mittere vendere la dignità pe 200/250 euri o mise? Si i vindemm tutti può esse che c’a facimme ‘nata vota”.

Jacob Andersen rideva e rideva. E poi rideva ancora. La piazza che prima era gremita si era svuotata: non c’era più nessuno, c’era rimasto solo lui, la corte e valletto, che mi invitava ad avvicinarmi. Ridevano a più non posso. Mi sono girato per andarmene, ma il valletto che parlava stoccolmese o trusco, mi faceva segno con la mano di restare, mentre con l’altra continuava a far girare la ruota. Ogni volta che questa si fermava indicava un nome. Dal fondo, ma non era nitido, si sentiva solo un urlo di gioia esclamare “Sono io, sono io. Grazie Jacob, grazie maestà”. Il valletto strillava e rideva: “Tieni figli puro tu. Lo vuoi un bel posto di lavoro? Te lo metto da parte se stai zitto e fai finta di non bèdere quello che assuccede a Copenaghen. Devi stare azzitto o ti faccio pigliare da quei signori lì”. Lo diceva a me, indicandomi con un dito che diventava sempre più lungo. Tra le risa di coloro che popolavano il palchetto, mi sono visto afferrato dalle braccia e immobilizzato da due loschi individui, uno con la pancia grossa e la crassa risata, l’altro piccolo e apparentemente innocuo, erano vestiti di nero. Avevano un teschio disegnato sulla divisa nera d’ordinanza: erano le guardie servili. Mi deridevano e mi strattonavano. Mi strattonavano sempre più forte. Ridevano a crepapelle. La loro risata rimbombava e creava un eco che diventava metallico.

“Papà che hai? Sveglia. Stavi gridando nel sonno. Tutto bene?”. Mio figlio mi ha svegliato, liberandomi ancora una volta da questa persecuzione. Un senso di liberazione mi ha pervaso immediatamente, è bastato un suo scrollone per riportarmi alla realtà, per liberarmi dall’incubo che stavo vivendo. Oramai cosciente, ho pensato che magari lo stesso scrollone di dignità lo avranno dato probabilmente quei giovani che nel sogno erano costretti e umiliati a partecipare a quella sorta di lotteria con la ruota.

Dopo questo ennesimo incubo, è proprio il caso di dirlo, “Ci sarà del marcio in Danimarca?”. Questi sogni ricorrenti, sempre con le stesse persone, sempre negli stessi posti, mi fanno pensare di sì. Io sono fortunato, perché ogni volta che mi sveglio mi rendo conto di vivere in una realtà in cui tutto questo non succede. Anzi, a Labico, per fortuna, ma veramente per fortuna, questi episodi non sono mai successi. Pensa se succedessero anche qui? Impossibile, questo è un sogno e i sogni non hanno aderenza con la realtà. Soprattutto se è un sogno nel sogno.

Il sogno di Copenaghen

Qualche giorno fa ho fatto un sogno strano. Di solito dormo tranquillo e i miei sogni sono romantici. Al risveglio, il più delle volte, ricordo poco o nulla. Invece questa volta è stato tutto molto chiaro. Non si è trattato propriamente di un sogno, in certi momenti somigliava a un incubo. Ero dubbioso se raccontarlo o meno, ma sono convinto che comunque vada è sempre bene condividere qualcosa, fosse anche un sogno/incubo.

Ho sognato di essere consigliere comunale di Copenaghen, manco a farlo apposta ero all’opposizione anche lì. C’era un sindaco alquanto bizzarro, nel senso buono: all’apparenza una gran brava persona, rideva e dava pacche sulle spalle a tutti, una promessa non la negava mai a nessuno. Si chiamava Jacob Andersen, faceva il sindaco da sempre. Addirittura, qualche maligno sosteneva che il giorno della nascita la mammana, anziché tirarlo dalle spalle, lo aveva tirato per la fascia rosso crociata, che di solito indossano i sindaci danesi. Ma si sa come sono i sogni, mischiano elementi reali ad altri di pura fantasia!

Questa Copenaghen, mi raccontavano i danesi, negli anni era stata una cittadina tranquilla, la classica cittadina danese, poche case, servizi tali da coprire i bisogni di tutti. Non aveva grandi ambizioni. Questo fino a quando un parente stretto del sindaco e alcuni suoi amici non si misero in testa di voler trasformare i terreni agricoli intorno a Copenaghen per costruirci ville e villette, bi/tri/quadri/penta/esafamigliari, anche qualcosa di più. All’inizio tutto filò liscio, le case venivano costruite e poi vendute a prezzi convenienti. La corona danese – la moneta locale – era diventata l’unico scopo di queste persone: sempre di più, di più, di più. Non si accontentavano mai!

Questa fase di distruzione durò parecchio tempo, forse una ventina d’anni, qualcuno sostiene di più. Gli abitanti crescevano a dismisura, ogni giorno venivano scaricati da camion decine di persone provenienti dai luoghi più lontani. Era stata costruita addirittura una stazione apposta. Gente di ogni tipo arrivava a Copenaghen: scendeva dal camion e veniva destinata a queste case.

Con il tempo le cose cominciarono a peggiorare: molte case, quasi tutte, erano prive del titolo di casa. Sembra una contraddizione, ma i sogni sono fatti così. Mi spiego: erano case, ma fino a quando non veniva rilasciato questo titolo erano trasparenti, come se non esistessero. Si entrava dentro ma non c’erano sedie per sedersi, né tavoli per mangiare, neanche armadi e letti. Anche i servizi mancavano: tutti i bambini venivano collocati nei vari edifici scolastici, che anziché ingrandirsi rimpicciolivano. Ogni bambino in più che entrava a scuola le classi si restringevano, come i pantaloni al primo lavaggio.

Qualcuno cominciò a protestare, altri ad urlare. Una gran moltitudine fu costretta a lasciare casa ai nuovi arrivati. Jacob Andersen non sembrava preoccuparsene, anche perché ogni volta che bisognava scegliere il suo successore sceglievano sempre lui, successore di se stesso. Era furbo, qualche settimana prima della scelta lui scendeva in piazza e rideva e dava pacche sulle spalle a tutti e prometteva questo e quello e poi era simpatico, come facevi a dirgli di no? Avevi bisogno di aprire una finestra sul cortile di casa del vicino? Nessun problema, arrivava la squadra di pronta urgenza – una specie di pronto soccorso urbanistico – e lo faceva lei. Ti serviva un lavoretto di favore? Nessun problema, arrivava la squadra sociale – era una specie di mutua – e ti metteva al lavoro. Ai più poveri veniva regalato denaro in base al numero di componenti: i suoi amici, soprattutto quelli legati da vincolo di parentela, facevano le collette che poi si riprendevano con le case. Era così, tutto tranquillo. Chi non era d’accordo niente pacche sulle spalle e niente sorrisi. Gli abitanti delle città vicine chiamavano Copenaghen La citta del nullo problema, perché era la risposta che si sentivano dare dai caporioni che sostenevano Jacob Andersen.

Ma che c’entra tutto questo con il sogno/incubo? C’entra, perché un giorno nel sogno passavo per un quartiere di Copenaghen, Col de la Rosa, e ho visto la squadra di pronta urgenza – quella che si occupava di urbanistica, per intenderci – che armeggiava in un terreno. Strano, in quel posto ricordavo che non bisognava scavare per farci case. Lì si poteva edificare solo per farci un parco giochi, una piazza, insomma un luogo che servisse per i giovani o meno giovani. Gli abitanti di Col de la Rosa stavano pagando per comprare quel terreno perché avevano l’intenzione di utilizzarlo per il bene del quartiere. Insomma, lì non era possibile costruire case. Quasi non ci volevo credere e, mentre pensavo cosi, mi sono trovato catapultato fra le carte. Nei sogni si sa, è così, tutto strano e confuso.

Ho cominciato a leggere, leggere, leggere. Tante carte. Alcune erano chiare, scritte in danese, altre in danese antico. Le lettere di queste carte si spostavano da una pagina all’altra, formando parole chiare, anzi, chiarissime, facendo venir fuori tutto il marcio di quel lavoro che si voleva fare in quel terreno vietato. Poi, le stesse parole hanno cominciato a mettersi in colonna indicandomi una strada. Io ho seguito le loro indicazioni e mi sono trovato in una stanza collocata dentro un’altra pagina, dove c’era un uomo che urlava. Mi diceva che io non capivo niente. Aveva un lungo bastone che agitava nervosamente e provava a colpirmi. Io mi difendevo con le parole, ma lui urlava con voce iraconda e senza sosta. Le lettere non potendone più e venute in mio soccorso gli hanno sgranocchiato il bastone in men che non si dica.

Non ricordo come, ma all’improvviso mi sono trovato in un’altra stanza. Le parole si erano rimesse in ordine dentro le pagine, fino a ricomporre la scritta Col de la Rosa. In questa stanza c’era una signora che, con toni gentili, ha voluto sapere cosa fosse successo. Per quanto mi sforzassi di parlare non mi uscivano le parole. Muovevo le labbra ma non c’era suono. Per me parlavano le pagine: hanno cominciato a sfogliarsi davanti a lei che annuiva. Prendeva appunti senza parlare, mentre le pagine continuavano a sfogliarsi da sole, fino al disegno dell’ultima pagina. Qui è successa una cosa strana: le pagine si sono staccate e hanno assunto la forma di una schiera di case, non ricordo bene se due file da tre o tre file da due. In totale, comunque, faceva sei.

Ricordo bene, senza sapere come – si sa, i sogni non hanno tempo e non hanno ordine – di essermi trovato davanti a un cartello che recitava più o meno così : MANUFATTO POSTO SOTTO SEQUESTRO. ANNO DANESE 6102, COPENAGHEN. Sotto, in bella mostra, la firma della signora.

Io ero veramente contento, finalmente ero riuscito a cacciare dal terreno la squadra di pronta urgenza, quella che si occupava di urbanistica, per intenderci. Abbiamo dato una grande festa popolare. La gente del quartiere Col de la Rosa era felice, adesso si poteva costruire l’angolo dei bambini!

Ma non avevamo fatto i conti con il sindaco Jacob Andersen. Appena saputo del cartello scritto senza suo ordine andò su tutte le furie. Come si era permessa quella sconsiderata di mettere un cartello senza la sua pacca sulle spalle e il suo sorriso? E che dire, poi, addirittura averlo firmato il cartello con inchiostro indelebile. E poi, quel consigliere!! un vero delinquente, si era reso responsabile di delitto di lesa maestà, si era permesso di leggere carte che non doveva leggere. Io spiegavo ai residenti del quartiere di aver fatto il mio dovere e che non ero delinquente, semmai delinquenti erano coloro che commettevano i reati! Poi, le carte le leggevo, mi piaceva leggere.

Per tutta risposta Jacob Andersen fece chiamare la signora e le disse chiaro chiaro che l’avrebbe messa nella prigione della vergogna, per lei niente più pacche e sorrisi, ma punizioni esemplari. La sostituì subito, chiamò un signore che veniva dalla montagna con l’ordine di riportare l’ordine. Per lui solo pacche sulle spalle e sorrisi generosi. Poi avrebbe pensato come punire tutti gli altri che avevano contribuito a smascherare l’imbroglio. Intanto ordinò all’ufficio cancellature e correzioni di punire le parole. Queste vennero catturate e cancellate, anche quelle che provavano a scappare e a nascondersi.

Io mi sentivo smarrito, cominciavo a sudare. Alcune lettere fecero in tempo a scappare e a rifugiarsi dentro le mie tasche. Erano le lettere più importanti, che formavano le parole più vere, quelle dove c’erano le dichiarazioni di quell’uomo cattivo che cercava di picchiarmi con il bastone. Erano quelle che potevano bloccare ogni cosa.

Dovevo difendere le lettere coraggiose, le parole segrete. Allora ho cominciato a correre, a correre sempre più forte. Le parole aggrappate a me mi incitavano a correre sempre più forte. Sudavo e correvo, sempre di più, di più, di più …….

Mi sono svegliato tutto sudato. Ero nel mio letto. Ho controllato l’ora: erano le tre di notte. Ero scosso, ma per fortuna era solo un sogno. Meno male che era Copenaghen. Io abito a Labico e a Labico queste cose non succedono mai…… Mai?

La fiaba dei garzoni e delle allegre associazioni

il-menestrello-stanco1C’è una volta, in un villaggio vicino vicino, là dove inizia una grande vallata inquinata, due garzoni di bottega (licenza favolistica n.d.r) che lottano per la propria dignità: mantenere il proprio posto di lavoro ingiustificatamente occupato da altri. E sono lì da tempo, ora sono lustri che resistono! Con il sole e con la pioggia continuano a lottare, derisi in alcuni casi da servi servili e sciocchi. I due decidono addirittura di portare i padroni della bottega davanti a un gonfalone del popolo affinché giudichi il loro operato, cosa tremenda e impensabile fino a qualche tempo prima! All’approssimarsi della scadenza della cassa integrazione, (pensate un po’, c’era già allora in tempi lontani lontani e veniva pagata con gli oboli versati di anno in anno dagli altri garzoni) i due, sostenuti da un’organizzazione paraclandestina, una specie di sindacato ante sindacato, decidono di presidiare la bottega, con l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica. Per dare maggiore risalto a questa forma di protesta, chiedono la solidarietà un po’ a tutti gli abitanti del villaggio: alcuni aderiscono perché ci credono, altri non rispondono all’invito, altri se ne strafregano alla grande, tanto a loro non tocca, altri ancora lo fanno perché pensano di trarne benefici di immagine da utilizzare per la candidatura a priore del villaggio, tanto per quello che valgono i presidi in questo tempo, pensano costoro, è solo tempo perso, ma meglio esserci, non si sa mai!!!!

In questo stesso villaggio vicino vicino, là dove inizia la grande vallata inquinata, si dà il caso che c’è un’Associazione di arti minori denominata Similsinistra e Affini, che predica sulla tutela dei garzoni di bottega, ma avvezza ai giochi di potere. Lo stesso Dante, infatti, raccontatore di favole e politica, avendo patito l’isolamento e l’esilio per loro colpa, li colloca nell’Inferno tra i traditori della patria e degli amici. Questa associazione predica, predica, fa comunicati nelle piazze dei villaggi, appoggia reclami, porta solidarietà. A volte si spinge oltre e rasentando il ridicolo, senza accorgersene di essere ridicola, fa la voce grossa, non perché sia un tenore, perché gli piace essere così, perché vive di immagine e fumo senza arrosto, giusto per il gusto di essere doppi e tripli. Il comandante dell’Associazione Similsinistra e Affini, armato di alabarda, grande lingua, veloce penna e telefonino di ultima generazione, una specie di tamtam d’epoca che si portava a tracolla, in grado di dipingere quadri da inviare su facelibro, una sorta di album virtuale, invitato alla manifestazione non si lascia sfuggire l’occasione di esserci senza crederci e si unisce al gruppo. Sfruttando l’occasione e la visibilità decide di fare le cose in grande: partecipa, per ben due rintocchi di campana due, al presidio dei garzoni a rischio mobilità, trascinandosi dietro il suo nume tutelare, un vecchio trombone del contado, nominato membro di gabinetto alla corte del signore. Porta con sé, inoltre, un nobiluomo locale già della corte nell’illo tempo del sultano locale, uomo sanguigno e vendicativo, dal sorriso furbo, ma ingannevole, (il sultano, si intende, ché qui subito si capisce male e si finisce alla gogna, pratica usata da molti esponenti quinquennali dell’Associazione Similsinistra e Affini!) e un giovane smarrito e sperso, apprendista nell’arte della politica, dotto dicitore di frasi bolsceviche, pratica obsoleta oramai scomparsa dal panorama associativo, a favore sì del popolo ma utile a se stesso.

Attività lodevole, sicuramente quella dell’Associazione Similsinistra e Affini. Chi non porterebbe solidarietà ai garzoni a rischio mobilità? Pensate un po’, lo ha fatto anche il vecchio saltuno locale, matusalemme e autocrate a tempo pieno, profondo conoscitore e abituale praticante dell’attività cassintegrata, avendola esercitata per anni e anni e anni, oggi come ieri e sempre sorprendentemente in un posto di priorato, sbalordendo le contrade vicine. A onor del vero, più che sorpresa è botta di culo: grazie al complotto di alcuni oscuri e mediocri affiliati locali dell’Associazione Similsinistra e Affini, che avendo rottamato come inutile, per presunzione, arroganza e spavalderia, una vecchia Associazione, la Pro Civitate Progressum, dinamica, funzionante e utile ai villici per molto tempo, ha permesso al furbo e o-scuro sultano di farla franca un’altra volta. L’Associazione Pro Civitate Progressum, attiva per dodici semestri, era una specie di congregazione laica da cui partivano idee, iniziative e lotte, ma i cui fragili ingranaggi interni erano tenuti insieme da due ruote quasi indipendenti, non collegate ai comandi che qualcuno voleva partissero dalla centrale dell’Associazione Similsinistra e Affini, al cui blocco si paralizzava l’intera attività motrice, mettendo in crisi l’ego satrapico di bambini in erba. Sarà stato per questo difetto di fabbricazione che il giocattolo è stato rottamato? Ma questa è un’altra favola che se fate i buoni forse racconterò!

Un giorno, giorno più giorno meno, un menestrello girovago e terun che solea cantar inascoltato senza paura la verità nelle piazze dei villaggi, transita per un borgo prossima al villaggio dove è ambientata l’intera vicenda e distrattamente nota dei bandi che invitano a votare per le primarie locali dell’Associazione Similsinistra e Affini. Le primarie dell’epoca erano una sorta di presa per il culo, a cui per partecipare i villici dovevano portare in dono due caciotte, inventate da tal Piergigi Persa-nelli da Bettola, nella contea Emilia. In realtà non decidevano nulla perché i giochi di potere spostavano il consenso da una parte all’altra a seconda degli interessi in campo, tutto legato al gioco delle fazioni del mattone bianco e del mattone nero, più o meno come nei tempi presenti, con la differenze che le caciotte sono state sostituite dagli Euri, un pezzo di metallo che serve ad arricchire chi li possiede! Messo a fuoco il bando – il menestrello è un po’ miope e tardo n.d.r– quasi gli cadono gli spartiti e la chitarra dalle mani per la sorpresa! Ma cosa vede mai! Si toglie gli spessi vetri da miope che per vezzo indossava al solo scopo di darsi arie da intellettuale, li pulisce meglio con un angoletto del suo mantello – effettivamente erano un po’ zozzetti – e prova a rimettere a fuoco il manifesto, fosse mai che la nebbiolina di sozzura sui cocci di vetro avesse alterato i caratteri!

No, niente errori, non si era sbagliato! Meraviglia delle meraviglie! chi è il candidato alle primarie per la carica di priore del borgo Cesareo dell’Associazione Similsinistra e Affini che ha rovinato la giornata al  menestrello veteroconservatororfansinistroprogressista? Chi questo esponente che a parole milita e tutela i sudditi dalle angherie dei prepotenti? Chi il difensore indefesso che ha sotto tiro le botteghe condannate per attività antisindacali? Da non crederci! un famigliare della stessa casata proprietaria di quella stessa bottega che mantiene per ragioni oscure i due garzoni in cassa integrazione!

Ma come? si chiede il menestrello, com’è possibile che alle primarie per il priorato del borgo sia candidato un esponente che milita nell’Associazione Similsinistra e Affini, difensore a parole dei diritti dei garzoni ingiustamente cassintegrati, mentre lo stesso associato nel villaggio contiguo si comporta come colui che vuole combattere? Tradotto da menestrellese a villaggese: in un posto mi candido perché difendo i garzoni, nell’altro sono libero di cacciarli tanto non sono candidato e mi comporto da padrone; e poi chi se ne fotte se sputtano l’Associazione Similsinistra e Affini di cui non me ne fotto proprio tanto si chiederà il voto utile qualora se ne senta il bisogno? Il voto utile del tempo lontano lontano era una pezza che copriva la faccia quando si voleva ridere senza essere visti.

A questo punto, come d’obbligo per un finale da fiaba, dovrebbe intervenire l’eroe e fare giustizia, punire i cattivi e ridare libertà al villaggio, facendo riassumere in bottega i due garzoni, sputtanare il voto utile e rottamare l’Associazione Similsinistra e Affini. Ma in questa fiaba non ci sono eroi, non ci sono garzoni e non ci sono botteghe, non ci sono associazioni e non c’è il voto utile. C’è tanta rabbia e ipocrisia. Tanti falsità e doppiogiochismo. Tante chiacchiere e molta doppiezza.

La fiaba finisce così, è una fiaba anomala, che non annovera … e tutti vissero felici e contenti. Termina così come era iniziata: irrazionale, come tutto ciò che è gioco sporco, subdolo e falso. Come falsa è questa storia, i personaggi e gli avvenimenti, le circostanze e i nomi, la lingua e la grammatica. E’ falsa, come falsa è la letteratura fiabesca. E’ un gioco di equivoci, di parole e di ruoli, di situazioni. Forse è meglio così.

Mi sono voluto divertire ad inventare una storia, che non ha nulla in comune con il passo dei tempi. E’ fuori tempo come le fiabe, è fuori luogo come i borghi e i villaggi. Ribadisco, avevo tempo da perdere e non sapevo come riempirlo e mi sono divertito a prendermi in giro da solo. O forse no!

E’ una fiaba senza finale, ma ha la presunzione di voler essere una favola. Allora se è una favola, ha sicuramente una morale. Sì, c’è la morale: diffidate di chi a parole dice una cosa e negli atti smentisce ciò che ha detto. Diffidate dalla doppiezza e affidatevi alla verità, che è una e non può essere doppia.

… e tutti vissero felici e contenti.

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