Qualche giorno fa ho fatto un sogno strano. Di solito dormo tranquillo e i miei sogni sono romantici. Al risveglio, il più delle volte, ricordo poco o nulla. Invece questa volta è stato tutto molto chiaro. Non si è trattato propriamente di un sogno, in certi momenti somigliava a un incubo. Ero dubbioso se raccontarlo o meno, ma sono convinto che comunque vada è sempre bene condividere qualcosa, fosse anche un sogno/incubo.
Ho sognato di essere consigliere comunale di Copenaghen, manco a farlo apposta ero all’opposizione anche lì. C’era un sindaco alquanto bizzarro, nel senso buono: all’apparenza una gran brava persona, rideva e dava pacche sulle spalle a tutti, una promessa non la negava mai a nessuno. Si chiamava Jacob Andersen, faceva il sindaco da sempre. Addirittura, qualche maligno sosteneva che il giorno della nascita la mammana, anziché tirarlo dalle spalle, lo aveva tirato per la fascia rosso crociata, che di solito indossano i sindaci danesi. Ma si sa come sono i sogni, mischiano elementi reali ad altri di pura fantasia!
Questa Copenaghen, mi raccontavano i danesi, negli anni era stata una cittadina tranquilla, la classica cittadina danese, poche case, servizi tali da coprire i bisogni di tutti. Non aveva grandi ambizioni. Questo fino a quando un parente stretto del sindaco e alcuni suoi amici non si misero in testa di voler trasformare i terreni agricoli intorno a Copenaghen per costruirci ville e villette, bi/tri/quadri/penta/esafamigliari, anche qualcosa di più. All’inizio tutto filò liscio, le case venivano costruite e poi vendute a prezzi convenienti. La corona danese – la moneta locale – era diventata l’unico scopo di queste persone: sempre di più, di più, di più. Non si accontentavano mai!
Questa fase di distruzione durò parecchio tempo, forse una ventina d’anni, qualcuno sostiene di più. Gli abitanti crescevano a dismisura, ogni giorno venivano scaricati da camion decine di persone provenienti dai luoghi più lontani. Era stata costruita addirittura una stazione apposta. Gente di ogni tipo arrivava a Copenaghen: scendeva dal camion e veniva destinata a queste case.
Con il tempo le cose cominciarono a peggiorare: molte case, quasi tutte, erano prive del titolo di casa. Sembra una contraddizione, ma i sogni sono fatti così. Mi spiego: erano case, ma fino a quando non veniva rilasciato questo titolo erano trasparenti, come se non esistessero. Si entrava dentro ma non c’erano sedie per sedersi, né tavoli per mangiare, neanche armadi e letti. Anche i servizi mancavano: tutti i bambini venivano collocati nei vari edifici scolastici, che anziché ingrandirsi rimpicciolivano. Ogni bambino in più che entrava a scuola le classi si restringevano, come i pantaloni al primo lavaggio.
Qualcuno cominciò a protestare, altri ad urlare. Una gran moltitudine fu costretta a lasciare casa ai nuovi arrivati. Jacob Andersen non sembrava preoccuparsene, anche perché ogni volta che bisognava scegliere il suo successore sceglievano sempre lui, successore di se stesso. Era furbo, qualche settimana prima della scelta lui scendeva in piazza e rideva e dava pacche sulle spalle a tutti e prometteva questo e quello e poi era simpatico, come facevi a dirgli di no? Avevi bisogno di aprire una finestra sul cortile di casa del vicino? Nessun problema, arrivava la squadra di pronta urgenza – una specie di pronto soccorso urbanistico – e lo faceva lei. Ti serviva un lavoretto di favore? Nessun problema, arrivava la squadra sociale – era una specie di mutua – e ti metteva al lavoro. Ai più poveri veniva regalato denaro in base al numero di componenti: i suoi amici, soprattutto quelli legati da vincolo di parentela, facevano le collette che poi si riprendevano con le case. Era così, tutto tranquillo. Chi non era d’accordo niente pacche sulle spalle e niente sorrisi. Gli abitanti delle città vicine chiamavano Copenaghen La citta del nullo problema, perché era la risposta che si sentivano dare dai caporioni che sostenevano Jacob Andersen.
Ma che c’entra tutto questo con il sogno/incubo? C’entra, perché un giorno nel sogno passavo per un quartiere di Copenaghen, Col de la Rosa, e ho visto la squadra di pronta urgenza – quella che si occupava di urbanistica, per intenderci – che armeggiava in un terreno. Strano, in quel posto ricordavo che non bisognava scavare per farci case. Lì si poteva edificare solo per farci un parco giochi, una piazza, insomma un luogo che servisse per i giovani o meno giovani. Gli abitanti di Col de la Rosa stavano pagando per comprare quel terreno perché avevano l’intenzione di utilizzarlo per il bene del quartiere. Insomma, lì non era possibile costruire case. Quasi non ci volevo credere e, mentre pensavo cosi, mi sono trovato catapultato fra le carte. Nei sogni si sa, è così, tutto strano e confuso.
Ho cominciato a leggere, leggere, leggere. Tante carte. Alcune erano chiare, scritte in danese, altre in danese antico. Le lettere di queste carte si spostavano da una pagina all’altra, formando parole chiare, anzi, chiarissime, facendo venir fuori tutto il marcio di quel lavoro che si voleva fare in quel terreno vietato. Poi, le stesse parole hanno cominciato a mettersi in colonna indicandomi una strada. Io ho seguito le loro indicazioni e mi sono trovato in una stanza collocata dentro un’altra pagina, dove c’era un uomo che urlava. Mi diceva che io non capivo niente. Aveva un lungo bastone che agitava nervosamente e provava a colpirmi. Io mi difendevo con le parole, ma lui urlava con voce iraconda e senza sosta. Le lettere non potendone più e venute in mio soccorso gli hanno sgranocchiato il bastone in men che non si dica.
Non ricordo come, ma all’improvviso mi sono trovato in un’altra stanza. Le parole si erano rimesse in ordine dentro le pagine, fino a ricomporre la scritta Col de la Rosa. In questa stanza c’era una signora che, con toni gentili, ha voluto sapere cosa fosse successo. Per quanto mi sforzassi di parlare non mi uscivano le parole. Muovevo le labbra ma non c’era suono. Per me parlavano le pagine: hanno cominciato a sfogliarsi davanti a lei che annuiva. Prendeva appunti senza parlare, mentre le pagine continuavano a sfogliarsi da sole, fino al disegno dell’ultima pagina. Qui è successa una cosa strana: le pagine si sono staccate e hanno assunto la forma di una schiera di case, non ricordo bene se due file da tre o tre file da due. In totale, comunque, faceva sei.
Ricordo bene, senza sapere come – si sa, i sogni non hanno tempo e non hanno ordine – di essermi trovato davanti a un cartello che recitava più o meno così : MANUFATTO POSTO SOTTO SEQUESTRO. ANNO DANESE 6102, COPENAGHEN. Sotto, in bella mostra, la firma della signora.
Io ero veramente contento, finalmente ero riuscito a cacciare dal terreno la squadra di pronta urgenza, quella che si occupava di urbanistica, per intenderci. Abbiamo dato una grande festa popolare. La gente del quartiere Col de la Rosa era felice, adesso si poteva costruire l’angolo dei bambini!
Ma non avevamo fatto i conti con il sindaco Jacob Andersen. Appena saputo del cartello scritto senza suo ordine andò su tutte le furie. Come si era permessa quella sconsiderata di mettere un cartello senza la sua pacca sulle spalle e il suo sorriso? E che dire, poi, addirittura averlo firmato il cartello con inchiostro indelebile. E poi, quel consigliere!! un vero delinquente, si era reso responsabile di delitto di lesa maestà, si era permesso di leggere carte che non doveva leggere. Io spiegavo ai residenti del quartiere di aver fatto il mio dovere e che non ero delinquente, semmai delinquenti erano coloro che commettevano i reati! Poi, le carte le leggevo, mi piaceva leggere.
Per tutta risposta Jacob Andersen fece chiamare la signora e le disse chiaro chiaro che l’avrebbe messa nella prigione della vergogna, per lei niente più pacche e sorrisi, ma punizioni esemplari. La sostituì subito, chiamò un signore che veniva dalla montagna con l’ordine di riportare l’ordine. Per lui solo pacche sulle spalle e sorrisi generosi. Poi avrebbe pensato come punire tutti gli altri che avevano contribuito a smascherare l’imbroglio. Intanto ordinò all’ufficio cancellature e correzioni di punire le parole. Queste vennero catturate e cancellate, anche quelle che provavano a scappare e a nascondersi.
Io mi sentivo smarrito, cominciavo a sudare. Alcune lettere fecero in tempo a scappare e a rifugiarsi dentro le mie tasche. Erano le lettere più importanti, che formavano le parole più vere, quelle dove c’erano le dichiarazioni di quell’uomo cattivo che cercava di picchiarmi con il bastone. Erano quelle che potevano bloccare ogni cosa.
Dovevo difendere le lettere coraggiose, le parole segrete. Allora ho cominciato a correre, a correre sempre più forte. Le parole aggrappate a me mi incitavano a correre sempre più forte. Sudavo e correvo, sempre di più, di più, di più …….
Mi sono svegliato tutto sudato. Ero nel mio letto. Ho controllato l’ora: erano le tre di notte. Ero scosso, ma per fortuna era solo un sogno. Meno male che era Copenaghen. Io abito a Labico e a Labico queste cose non succedono mai…… Mai?
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